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Il silenzio che urla

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Domenica 9 ottobre 2022 ricorre il 40° anniversario dell'attacco terroristico palestinese del 1982 alla Grande Sinagoga di Roma, in cui un bambino di due anni, Stefano Tache, fu ucciso e altri 37 feriti. Il fratello di Stefano, Gadiel, ferito anche lui nell'attentato, ha appena pubblicato le sue memorie, Il silenzio urlante, in cui si occupa della complicità del governo italiano con i terroristi.

L'Italia intera deve ringraziare Gadiel per la sua forza e determinazione, e per aver raccontato la storia della sua sofferenza e quella di tutta la sua famiglia, in particolare della sua coraggiosa madre Daniela e del padre Joseph. La sua è una storia personale di valore universale. Ci insegna che le vittime del terrorismo affrontano uno tsunami emotivo dal quale non potranno mai riprendersi completamente. Il loro dolore psicologico e fisico non è riconosciuto e ancora lontano dall'essere pienamente compreso, definito e affrontato.

Negli ultimi mesi, Israele ha dovuto affrontare un'ondata di attacchi terroristici e tentativi di attacco. Solo le vittime conoscono il trauma che devono sopportare, il dolore della famiglia, l'eredità delle ferite fisiche. Durante la seconda intifada, ho visto le strade di Gerusalemme letteralmente ricoperte dal sangue di oltre 1,000 morti. Eppure gli aggressori furono assolti e perfino esaltati come principi degli oppressi del mondo. Le vittime, tuttavia, furono cancellate e Israele e gli ebrei diffamati come oppressori.

Il resoconto di Gadiel Tache della sua esperienza personale e dell'orribile scandalo politico che ha permesso l'attacco mette in luce la vera natura del terrorismo antisemita e la sofferenza che provoca. Nel suo libro, Gadiel chiarisce che il terrorismo antisemita è semplicemente l'ultima iterazione storica della violenza genocida antisemita, culminata nell'Olocausto. Il terrore antisemita oggi utilizza cattiveria politica, diffamazione dei media, odio nei campus e sui social media e attacchi fisici diretti agli ebrei di tutto il mondo.

Questo terrore è al suo culmine in Israele, dove chiunque, ovunque può cadere preda di sparatorie, coltelli e attacchi con auto schiacciate. Non c'è famiglia che non abbia un parente o un amico che sia stato vittima del terrore. Ma non c'è nemmeno luogo al mondo che non abbia conosciuto il terrorismo antisemita, dalle Olimpiadi di Monaco del 1972 a Parigi, Madrid, Londra, Tolosa, i Paesi Bassi, New York e molte città americane, oltre a Mumbai, in Kenya e, ovviamente Roma.

La pandemia mondiale del terrorismo, che ha raggiunto il suo apice l'9 settembre, non è mai stata giustamente definita immensamente antisemita, anche se gli stessi terroristi non mancano mai di gridare il loro odio per gli ebrei, come nell'attentato di Roma di cui ora celebriamo l'anniversario osservare. Gli incidenti sono decine di migliaia, sempre accompagnati dalla demonizzazione di Israele e da grida di "morte agli ebrei" abbinate a "dal fiume al mare, la Palestina sarà libera".

Il terrorismo antisemita ha oggi lo stesso scopo che aveva in passato: la distruzione del popolo ebraico. Ora, questo deve essere realizzato mediante la distruzione dell'unico stato ebraico al mondo, che è anche l'unica democrazia in Medio Oriente. In effetti, l'odio verso Israele che culmina, come l'ha definita Robert Wistrich, nella “nazificazione” dello Stato ebraico ha assunto dimensioni spaventose anche nell'opinione pubblica italiana. Si va da un articolo di Valentino Parlato in cui paragonava Ariel Sharon a Kesserling e Goering a Lucio Lombardo Radice sostenendo che Israele stesse attuando la liquidazione nazista dei ghetti a Beirut.

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L'arciterrorista Yasser Arafat, armato di un'arma, ha parlato al parlamento italiano, come ricorda Gadiel nel suo libro. Arafat stava già allora formulando la sanguinosa strategia che avrebbe portato alla seconda intifada, con l'allenamento del shahid martiri e la loro santificazione, anche se Arafat affermava di essere alla ricerca della pace che in realtà rifiutava sempre.

Nella mia carriera di giornalista ho incontrato molti terroristi. Quando li incontri, ti rendi conto che la loro educazione e formazione li ha resi inamovibili e che il loro odio non ha nulla a che fare con le questioni territoriali. È ideologico e religioso, e trasforma il “martire” che uccide gli ebrei in una figura santificata. A casa, a scuola, sui muri delle piazze e nei centri estivi, imparano a seguire la strada del rifiuto, dell'odio e del terrorismo. Mentre si vantano: "Noi amiamo la morte tanto quanto loro amano la vita".

Questa è la verità. Le madri che gioiscono per la morte del loro shahid i figli sono l'esatto opposto delle nostre madri, l'esatto opposto di Daniela, che da quel terribile giorno di 40 anni fa ha combattuto al fianco di Gadiel. Oggi ci restituisce il ricordo di Stefano, vivo, figlio di tutti noi.

Questa è la traduzione di un articolo originariamente apparso sulla pubblicazione ebraica italiana Shalom.

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EU Reporter pubblica articoli da una varietà di fonti esterne che esprimono un'ampia gamma di punti di vista. Le posizioni assunte in questi articoli non sono necessariamente quelle di EU Reporter.

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