Politica
Ridefinire la dipendenza: la ricerca dell'autonomia strategica dell'Europa

A Bruxelles, negli ultimi cinque anni, una frase ha acquisito silenziosa urgenza: autonomia strategica. Un tempo liquidata come idealismo francese, è diventata un principio guida per i responsabili politici europei che si muovono in un mondo incerto, in cui gli Stati Uniti non sembrano più l'alleato incrollabile di un tempo. Dalla difesa al commercio, fino alla sicurezza energetica, l'Europa sta ridefinendo il proprio ruolo in un mondo non più plasmato esclusivamente da Washington. scrive Kung Chan, il fondatore di ANBOUND.
Inizialmente, l'"autonomia strategica" era concepita principalmente come un obiettivo di difesa: l'idea che l'Europa dovesse essere in grado di proteggersi senza dipendere interamente dagli Stati Uniti. Quando Trump tornò alla Casa Bianca nel 2025, l'autonomia strategica era diventata più di uno slogan: era una politica. La Commissione Europea l'aveva già incorporata nelle strategie ufficiali in diversi settori: difesa e sicurezza, infrastrutture digitali, approvvigionamento energetico e materie prime critiche. Quello che un tempo sembrava un idealismo francese divenne un quadro strategico condiviso.
Fondamentalmente, l'autonomia strategica non significa tagliare i legami. I leader europei tengono a sottolineare che non stanno cercando di "sganciarsi" dagli Stati Uniti. L'obiettivo è piuttosto il "riequilibrio", ovvero sviluppare la capacità di agire in modo indipendente laddove necessario, pur mantenendo la cooperazione laddove gli interessi si allineano. In un mondo sempre più instabile, tale equilibrio non è visto come divisione, ma come resilienza.
Economico: ridefinire le linee di commercio e di approvvigionamento
La sovranità economica è diventata un pilastro centrale della spinta verso l'autonomia strategica dell'Europa, soprattutto in risposta ai rinnovati dazi statunitensi. Poco dopo il suo ritorno in carica, il presidente Trump ha reintrodotto dazi elevati su acciaio e alluminio dell'UE. Bruxelles ha risposto preparando un elenco di potenziali contromisure da 95 miliardi di euro e avvertendo che, in caso di fallimento dei negoziati, sarebbero seguite ritorsioni commerciali.
Le tensioni erano già aumentate a causa dell'Inflation Reduction Act statunitense, le cui norme sui sussidi interni avevano suscitato preoccupazione in Europa per la concorrenza sleale e le perdite industriali. In risposta, l'UE ha presentato il proprio Net-Zero Industry Act per sostenere gli investimenti in tecnologie pulite e rafforzare la competitività industriale interna.
Oltre a reagire a Washington, l'Europa sta attivamente diversificando i legami commerciali. A dicembre è stato firmato un accordo di libero scambio con il blocco sudamericano del Mercosur. A febbraio, Canada e UE hanno concordato di approfondire la cooperazione commerciale e ad aprile sono iniziati i colloqui per un accordo commerciale con gli Emirati Arabi Uniti. Parallelamente, l'UE ha introdotto politiche per proteggere le catene di approvvigionamento critiche e limitare la dipendenza dalla tecnologia estera in settori come i semiconduttori e l'intelligenza artificiale.
Difesa: oltrepassare l’ombrello americano
La spinta dell'Europa verso l'autonomia strategica è diventata più evidente nel settore della difesa, dove le tensioni con Washington si sono acuite. L'amministrazione Trump ha ripetutamente fatto pressione sugli alleati della NATO affinché aumentassero la spesa per la difesa, proponendo più recentemente che i membri destinino il 5% del PIL ai bilanci militari, un aumento significativo rispetto all'obiettivo di lunga data del 2%. Trump ha anche avvertito che gli Stati Uniti potrebbero riconsiderare il proprio impegno nei confronti dell'articolo 5 della NATO, la clausola di difesa reciproca, se gli alleati non riuscissero a soddisfare le aspettative di spesa. Il messaggio era chiaro: l'Europa non dovrebbe dare per scontata la protezione americana.
La guerra in Ucraina ha ulteriormente messo in luce la fragilità della dipendenza europea dalla difesa. Mentre Washington ha fornito la maggior parte del supporto militare iniziale, le recenti mosse – tra cui le minacce di bloccare gli aiuti e di contattare Mosca tramite canali secondari – hanno innervosito le capitali europee. Di conseguenza, i leader dell'UE hanno iniziato a gettare le basi per una capacità di difesa più indipendente. A marzo, il Consiglio europeo ha appoggiato il piano della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen per "riarmare l'Europa", impegnando 800 miliardi di euro per aumentare la prontezza della difesa entro il 2030. Il libro bianco "Preparazione 2030" che accompagna l'accordo delinea misure per aumentare gli appalti congiunti, espandere la capacità dell'industria della difesa e ridurre la dipendenza dai fornitori esterni.
Questo cambiamento sta già rimodellando l'industria della difesa. Importanti membri dell'UE come Francia, Germania e Polonia hanno annunciato nuovi piani di investimenti militari e le aziende stanno gradualmente limitando la cooperazione con i partner statunitensi a favore della produzione nazionale. La "Strategia industriale di difesa europea" dell'UE, adottata all'inizio del 2025, dà priorità ai sistemi nazionali e all'integrazione della difesa transfrontaliera. Iniziative come la PESCO (Cooperazione strutturata permanente) mirano a costruire un quadro militare coordinato dell'UE, mentre le discussioni su un deterrente nucleare indipendente, guidate dalla Francia, stanno guadagnando terreno. Insieme, queste mosse riflettono una ricalibrazione strategica: non abbandonare la NATO, ma prepararsi a un'Europa meno dipendente da essa.
Energia: dalla risposta alla crisi alla diversificazione strategica
La guerra in Ucraina ha costretto l'Europa a ridurre rapidamente la propria dipendenza dai combustibili fossili russi, ma la soluzione a cui si è rivolta per prima, il gas naturale liquefatto (GNL) statunitense, ha presentato le sue sfide. Sebbene il GNL americano abbia contribuito a stabilizzare l'approvvigionamento nel breve termine, prezzi elevati, contratti volatili e colli di bottiglia infrastrutturali hanno sollevato preoccupazioni sulla sostituzione di una dipendenza con un'altra. Poiché le esportazioni di energia statunitensi riflettono sempre più la leva politica, non solo le dinamiche di mercato, Bruxelles ha iniziato a riconsiderare la sicurezza a lungo termine delle sue partnership energetiche.
L'autonomia strategica in ambito energetico significa ora diversificazione. L'UE ha attivamente ampliato la sua cooperazione energetica oltre l'asse transatlantico, rafforzando i legami con produttori come Norvegia, Algeria e Qatar. Sta inoltre lavorando per sviluppare capacità di produzione di energia rinnovabile e reti elettriche transfrontaliere in Europa. Strumenti politici chiave come il piano REPowerEU e il Critical Raw Materials Act mirano non solo a rendere più verde il sistema energetico, ma anche a garantire che l'Europa controlli la tecnologia e le risorse necessarie per sostenerlo.
Allo stesso tempo, l'UE sta cercando di proteggere il proprio mercato interno dai rischi esterni legati alle emissioni di carbonio. Nel 2026, il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) entrerà a pieno regime, tassando i beni importati in base alla loro intensità di carbonio. Questa misura non solo sostiene gli obiettivi climatici, ma funge anche da forma di sovranità energetica, garantendo che l'Europa non venga indebolita dalle importazioni ad alte emissioni, comprese quelle dagli Stati Uniti. L'obiettivo più ampio è chiaro: costruire un sistema energetico più pulito, più resiliente e meno vulnerabile agli shock geopolitici.
Nonostante il crescente consenso politico, il percorso dell'Europa verso l'autonomia strategica rimane disomogeneo. Non tutti gli Stati membri condividono le stesse priorità: Paesi dell'Est come la Polonia e gli Stati Baltici continuano a considerare gli Stati Uniti un partner indispensabile per la sicurezza e sono cauti nell'allontanarsi troppo dalla NATO. Questa divergenza complica il coordinamento a livello di UE, soprattutto nella pianificazione della difesa e nell'integrazione industriale.
Persistono anche ostacoli pratici. Costruire capacità in settori come quello dei semiconduttori o della difesa richiede tempo, finanziamenti e coordinamento, spesso in competizione con attori globali. Nel frattempo, disaccordi interni su spesa, norme sugli appalti e direzione della politica estera rallentano i progressi. L'autonomia strategica potrebbe essere la meta, ma per arrivarci serviranno compromessi costanti e volontà politica.
La spinta dell'Europa verso l'autonomia strategica non è più teorica. Dai dazi ai carri armati, dai contratti energetici agli accordi commerciali, l'UE sta gradualmente passando dalla dipendenza alla resilienza. Questo non significa allontanarsi dagli Stati Uniti, ma significa prepararsi a un mondo in cui l'allineamento transatlantico non può più essere dato per scontato.
I progressi saranno disomogenei e alcune dipendenze permarranno. Ma la direzione è chiara: l'Europa sta imparando a proteggersi, diversificando i partner e sviluppando la capacità di agire in modo indipendente. La vera domanda ora non è se l'Europa desideri maggiore autonomia, ma fino a che punto è disposta ad arrivare e a quale costo.
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