Il farmaco è stato identificato come un potenziale trattamento COVID-19 dai ricercatori che utilizzano supercomputer per esaminare più di 400,000 molecole per caratteristiche chimiche che potrebbero inibire il virus, concentrandosi su quelle già approvate per l'uso negli esseri umani.
Andrea Beccari, di Excalate4Cov, un consorzio pubblico-privato guidato dall'italiana Dompé Farmaceutici, ha affermato che i ricercatori speravano che il raloxifene, un farmaco generico noto come modulatore selettivo del recettore degli estrogeni, avrebbe bloccato la replicazione del virus nelle cellule e quindi rallentato il progresso della malattia .
"Inibisce la replicazione del virus, prevenendo così il peggioramento dei pazienti con sintomi lievi, e diminuisce anche l'infettività, limitando la carica virale", ha detto Marco Allegretti, capo della ricerca presso Dompé Farmaceutici.
La sperimentazione coinvolgerà nella fase iniziale 450 pazienti ospedalieri e domiciliari dell'Ospedale Spallanzani di Roma e Humanitas di Milano.
A loro verrà somministrato un trattamento di sette giorni con capsule di raloxifene in un campione randomizzato e altre 174 persone potranno essere aggiunte nella fase finale. L'iscrizione durerà 12 settimane.
La piattaforma Excalate4Cov è supportata dalla Commissione Europea e coordina centri di supercalcolo in Italia, Germania e Spagna con aziende farmaceutiche e centri di ricerca, tra cui l'Università di Lovanio, il Fraunhofer Institut, il Politecnico di Milano e l'Ospedale Spallanzani.
Utilizza una libreria chimica di 500 miliardi di molecole e può elaborare 3 milioni di molecole al secondo utilizzando quattro supercomputer di oltre 122 Petaflop, un'unità di velocità di calcolo pari a mille trilioni di operazioni in virgola mobile al secondo.
I ricercatori hanno sfruttato la potenza dei supercomputer per creare una struttura tridimensionale di 12 proteine del coronavirus e condurre simulazioni per vedere dove le proteine possono essere attaccate da un farmaco.
"Ci sono voluti un milione di ore di calcolo", ha detto Beccari, aggiungendo che, con il proseguimento della ricerca, potrebbe essere possibile sviluppare farmaci di seconda generazione superiori al raloxifene.
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